FILOSOFIA BARBARA - la serie

FILOSOFIA BARBARA #1 [è letteratura baby - 5 racconti]

FILOSOFIA BARBARA  #2 [c'ero una volta io - 5 racconti]

FILOSOFIA BARBARA #3 [un gioco tridimensionale - 1 racconto]

Dal 21 ottobre 2015 al 27 aprile 2016, ogni mercoledì il litblog Poetarum Silva ha pubblicato un racconto della serie I ME MEDESIMI: testi brevi, spaccati sulla vita dei personaggi, inviti a immaginare in tutta la sua possibile profondità la vita degli altri, degli sconosciuti che abbiamo intorno ogni giorno. Tutti titolati solo con il nome del protagonista, I ME MEDESIMI sono dei tentativi impossibili di costruire con l'immaginazione un ponte fra la sensibilità di chi guarda e quella di chi viene osservato.

 

PARTO PERDUTO - prefazione dell'Autore

Rileggendoli, non credo di essermi fatto un favore a scrivere questi tre racconti. Certe cose, a voler essere signori, infatti è molto meglio tacerle che raccontarle. I fatti privati non si sbattono in piazza, eccetera. Per fare letteratura, o almeno provarci, però, non ho potuto evitare di constatare che certe delicatezze verso se stessi non ce le si può proprio concedere. Non l’ho inventato io questo principio guida che è, lo dico, l’unica regola di scrittura che riconosco, e che, enunciato da Poe, è quello del My heart naked, tradotto da Baudelaire: Mon coeur mis a nu.

I tre raccontini qui stampati appartengono quindi al genere dei carotaggi, o dei prelievi di tessuto se si preferisce. Esperimenti fatti su se stessi, scavi eseguiti al solo scopo di scavare e che pure però qualche reperto l’hanno portato in superficie. Non voglio dire che questi frammenti splendano di qualche verità particolare, perché scrivere in fondo è già mentire, ma sicuramente portano in sé un’elevata concentrazione di sincerità. Rispecchiano, questo sì, molto fedelmente il momento in cui sono stati scritti, cioè in cui sono affiorati. Un po’ sporchi quindi, un po’ frammisti a detriti e scorie. Anche la forma si noterà non è troppo curata, nel senso che ho evitato di curarmene. Un po’ perché in miniera non si va in frack e un po’ per dare più continuità possibile fra la sensibilità e il linguaggio.

Da queste sperimentazioni, sperimentazioni psichiche o attitudinali, non letterarie, sono venute fuori tre cose che per gentilezza potremmo chiamare prose poetiche surreali. Prodotti strani comunque, che non avrebbero potuto trovare altra collocazione che tra i titoli delle Edizioni Pratiche dello Yajé. A chi altri del resto sarebbe stato possibile affidare questi tre pezzetti di carne viva? Solo l’autoeditoria mi pare che consenta ormai di dare inchiostro a testi difficilmente inquadrabili in qualsivoglia genere. Testi che non venderanno e forse nemmeno saranno capiti, ammesso che ci sia qualcosa da capire. Testi che non vogliono dire niente e a nessun interlocutore aspirano, ma che hanno solo l’urgenza di rappresentare se stessi.

Roba delicata abbiamo detto. Cose che se vogliamo è anche meglio non toccare. La prudenza infatti consiglia di non andare a pasticciare con gli ingranaggi di un orologio se poi non si è più che sicuri di saperli rimettere in ordine. Certo, e non ci siamo mai domandati come mai il tasso di psichiatrici fra scrittori e poeti sia da sempre così alto? In questa vicenda tetra però un lieto fine si può anche trovare ed è questo. Questo che il lettore ha in mano: il prodotto dell’incontro con un editore. Meglio: un editore casalingo e artigiano. Uno che non si limita a selezionare e stampare, ma che ti porta nella sua cucina, che ti mette nel forno, ti scioglie, reimpasta e inghiotte.

Roba delicata per mani forti. Gli uomini grossi sono fatti per i lavori delicati, diceva Guareschi alla fine di uno dei vari Don Camillo. Beh, caspita, mi si scusi apro citando Poe e chiudo con Guareschi, ma aveva ragione. Roba delicatissima, che forse sia per chi l’ha scritta che per chi l’ha stampata era meglio neanche maneggiare. Ma non è maneggiando le cose delicate che si impara a maneggiare ogni cosa?

 

Polvere&Macigni - una recensione di Gian Paolo Parenti

L'esperienza allucinante di un giovane alla sua prima occupazione. L'azienda chiaramente è di pura fantasia. L'autore la colloca nella cintura più esterna di Milano, a ridosso della tangenziale. E immagina che si sviluppi sopra una vasta area, dotata di tre palazzi di vetro e cemento e altre palazzine più basse, tre mense, un asilo aziendale, un ufficio postale e un piccolo spaccio. La fantasiosa azienda si occupa di traffici interplanetari, disponendo di una flotta di satelliti e navette.
Paolo Triulzi è narratore abilissimo. Il libro prima ti alletta introducendo una serie di personaggi ridicoli e mediocri. Quindi ti stupisce: quegli uomini, quelle donne, quelle uome sviluppano procedure in cui finiscono con l'annidarsi come ragni in attesa della preda. Infine, la storia ti angoscia: la tela procedurale è tutto; è il tessuto connettivo dell'azienda interplanetaria, è la ragione di vita di chi la tesse ma anche di chi vi si lascia avviluppare. Non c'è altro al di fuori della tela. Il finale è pietrificante come la testa di Medusa: risulta esilarante eppure ti raggela. Hai la sensazione che il libro ti stia parlando e cerchi disperatamente di darti un consiglio
Nonostante la sapiente leggerezza di certi passaggi, qui non siamo dalle parti di Walter Fontana e del suo indimenticabile "L'uomo di marketing e la variante limone" (Bompiani), testo fondamentale per noi Marchettari con tracce di umanesimo nel sangue, semmai vi si ritrovano accenti volponiani ("Le mosche del capitale", Einaudi). Ma Triulzi è, prima di tutto, se stesso: una voce originale, disincantata ma non cinica. E profondamente morale. Come dimostra l'epilogo, che l'autore s'impone (e ci impone) anche a costo di depotenziare il finale (splendido, splendido!) dell'ultimo capitolo. Esattamente come Manzoni ha fatto con i suoi Promessi sposi, giocandosi un finale potenzialmente "novecentesco" : quello della pioggia che arriva a lavare via la peste.

Polvere&Macigni, Paolo Triulzi (Foschi Editore, Forlì 2014)

Ironia disincantata, lucida satira, orecchie ed occhi ben puntati e attenti al nostro presente: "Polvere&Macigni" è un tentativo, riuscito, di trovare una via del romanzo che ci conduca attraverso i tempi della crisi.
In un'atmosfera assurda e tuttavia molto credibile, si consuma la tragica farsa di una esistenza in cui lavoro (insoddisfacente) e vita (precaria) si fondono a creare un limbo avvelenato.

Le persone appaiono in tutta la tetra falsità di maschere ed il lavoro si rivela, oltre la patina dorata dei soliti fanatici dell'eccellenza professionale, per quello che è: un rito in cui si celebra e si conserva la rigidità ottusa dei ruoli e dei rapporti di forza.

Scrittura asciutta ma non approssimativa, pacatezza smaliziata e divertita del narrare, uno sguardo distaccato ma mai estraneo, un senso del rischio calcolato e della misura tra parodia e memorialistica fanno di "Polvere&Macigni" un romanzo piacevole da leggere ma che suscita riflessioni tutt'altro che lievi e superflue.

A metà maggio 2014 esce, per i tipi di Foschi Editore, il mio primo romanzo: Polvere & Macigni.

La pubblicazione del romanzo è il premio per il primo posto al Premio Letterario Nazionale "Città di Forlì", edizione 2012, sezione romanzo inedito. Qui le motivazioni del premio.

Risultati pubblicati nella rivista "Poesia", n. 284 - luglio/agosto 2013.